GARUM, L’EVOLUZIONE ARRIVA DAL PASSATO

di Pamela Romano

Il Garum è una salsa di pesce fermentato riscoperta negli ultimi anni in Occidente, ma la sua ricetta è stata tramandata per secoli, modificata, personalizzata e adattata in base alla zona di produzione, tanto che oggi ne esistono di tutti i tipi con delle varianti a base di crostacei, carne, verdure e koji.

GARUM NELL’ ANTICA ROMA

Il termine “Garum” ci fa subito pensare agli Antichi Romani, la loro passione per questa succulenta salsa fu talmente forte da fargli edificare delle vere e proprie fabbriche di produzione, infatti, fuori dalla mura urbane, vennero scavate delle vasche nelle rocce calcaree, per renderle impermeabili, perché il piccolo pescato veniva lasciato a fermentare sotto il sole per diversi mesi. Una rete di lavorazione fatta di innumerevoli operai, ognuno con un compito ben preciso, chi si occupava dell’eviscerazione dei pesci, chi della salatura, chi del filtraggio. Il perfezionamento delle tecniche di fermentazione del pesce acquisite dai fenici, dai greci e dai popoli mesopotamici portarono l’Impero Romano a creare un vero e proprio business.

L’Antica Roma introdusse il garum durante le guerre puniche e lo trasformò in una specialità ittica tipica del Mediterraneo, ecco perché le sue origini sono molto più profonde di ciò che pensiamo.

UN PILASTRO DIMENTICATO DELLA CUCINA

La salsa garum, non si sa bene per quale motivo, è stata dimenticata per alcuni secoli in Occidente, ma ad oggi viaggia per il mondo ed è un bene che molti chef l’abbiano riscoperta perché le sue proprietà sono innumerevoli nonché note già in epoche lontane.

La sua nascita risale a 2500 anni fa, in Nord Africa, dove si trova l’odierna Tunisia. La fortificata metropoli fenicia di Cartagine si occupava di conservare il pescato, proveniente dal fiorente mercato, attraverso la fermentazione. Per 500 anni i cartaginesi si occuparono di affettare in maniera sottile pesci interi, comprendendo anche testa, interiora, scaglie e coda. Tonni, sgombri, alici e altro pesce azzurro venivano trasferiti in enormi vasche e lasciati cuocere lentamente sotto il sole, insaporiti con sale e spezie e coperti da reti per non farli intaccare da insetti o uccelli.

AUTOLISI: IL PESCE “DIGERISCE” SE STESSO

Il sale non era solo un modo per rendere più gustosa la salsa, ma principalmente era necessario per combattere i microrganismi dannosi.

Anche la scelta di non sprecare nessuna parte anatomica del pesce non era una causalità, infatti già in quel tempo si aveva una conoscenza ben precisa dell’autolisi.

Senza viscere e parti considerate “di scarto”, non avremmo il garum, perché esso dipende essenzialmente dai potenti enzimi gastrointestinali e dai succhi digestivi che consentono, con un processo biologico, di “autodigerire” il pesce una volta morto.

Per natura, la carne di tutti gli animali contiene enzimi proteolitici, necessari per la degradazione delle proteine e, di conseguenza, dell’autolisi. Nell’organismo vivente, sono situati, insieme ad altri enzimi, nel lisosoma, un organello che rappresenta il sistema digerente della cellula e si attivano per agire, in maniera più o meno celere, quando l’animale muore. Ci sono alcuni fattori determinanti, che contribuiscono nel favorire o nel rallentare questo processo, ad esempio le temperature o, nel caso del garum, l’utilizzo di un giusto quantitativo di sale.

Ecco perché, già in origine si aveva la consapevolezza di dover tagliuzzare completamente tutto il pesce, in questo modo i succhi digestivi contenuti nelle interiora entrano immediatamente in contatto con la polpa del pesce e gli enzimi scompongono le proteine nei loro amminoacidi costituenti e i grassi in acidi grassi.

ACQUA, SALE E SOLE, IL “BRODO PRIMORDIALE” CHE PORTA ALLA NASCITA DEL GARUM

Mi piace paragonare il meccanismo di preparazione del garum al brodo primordiale perché entrambi, danno origine alla vita attraverso processi chimico-fisici, partendo proprio da una miscela acquosa mescolata con sale, “cotta” con una particolare esposizione ai raggi solari e alternanza di ossigeno e anidride carbonica, oltre ad altri componenti che contribuiscono ai cambiamenti della materia. Anche se bisogna precisare che il brodo primordiale nasce senza la presenza di enzimi, quindi gli scienziati continuano a fare esperimenti per definire con esattezza quali sostanze chimiche con questa capacità di trasformazione abbiano portato alla nascita della vita.

GLI INGREDIENTI BASE PER UN PUNTO DI PARTENZA

Il garum è lo status symbol dell’evoluzione, infatti ha avuto una forte influenza sulle culture antiche tanto da portare la cucina europea a rispolverare le vecchie ricette. Ognuna di loro ha fatto tesoro di questo concetto di base, dal quale si parte, per personalizzarlo secondo il loro gusto e la reperibilità degli ingredienti.

L’uso del sale agevola gli enzimi nel processo di autolisi, difende il pesce dall’intacco di microbi nocivi, svolge il ruolo di conservante naturale. Gli organismi alotolleranti, invece, sopravvivono all’ambiente salino contribuendo a portare benefici al garum.

L’ambiente liquido serve a far fluttuare più facilmente gli enzimi, in questo modo hanno una capacità maggiore di suddividere le catene proteiche in amminoacidi.

Più è fluido il percorso più sarà veloce il lavoro degli enzimi; perché, per osmosi, il sale attira l’acqua del pesce e man mano che si spezzano le molecole contenute all’interno dell’animale, il sale riesce ad attingere acqua più facilmente e disidrata la carne. Ma per avere un passaggio da solido a liquido c’è bisogno di calore, in questo modo, esponendo i contenitori ai raggi solari le reazioni enzimatiche vengono accelerate, meglio ancora se durante questi passaggi si mescola il prodotto in fermentazione.

Il sale, provoca l’avvizzimento e la morte delle cellule dei batteri patogeni, così da proteggere dal deterioramento, non solo il garum ma anche i cibi stagionati, essiccati e affumicati.

IL GARUM, TRA I SEGRETI PER RAGGIUNGERE LA SERENITÀ

Il garum è un alimento infallibile per combattere lo stress e l’ansia, integrarlo in una dieta giusta aiuta a raggiungere equilibrio e calma.

Ecco cosa succede. Nel tempo, il composto in fermento, sviluppa acido glutamminico, un amminoacido che favorisce la produzione del GABA, l’ormone della serenità, modulando i livelli di cortisolo di conseguenza migliora il benessere emotivo.

CHE SAPORE HA LA FELICITÀ

Ma come fa una poltiglia costituita da pesce, interiora e altri suoi scarti, esposta per mesi al sole, a sviluppare un gusto così buono?

Come fanno i nostri sensi, da sempre abituati con la vista e con l’olfatto, prima ancora dal gusto, a riconoscere i cibi commestibili da quelli potenzialmente dannosi per l’organismo, ad avere voglia di assaggiare una preparazione del genere?

La risposta è nell’aroma inconfondibile dato dall’acido glutammico che è presente nella maggior parte delle proteine.

Alte concentrazioni si possono trovare nelle carni, nei formaggi, nel pesce o negli alimenti vegetali come pomodori, frumento, alghe, legumi, spezie, funghi.

Nel recipiente contenente il garum, gli enzimi proteolitici spezzano le proteine del pesce e liberano molecole di acido glutamminico, esso cede una carica positiva per diventare glutammato. Quest’ultimo, di conseguenza si lega agli ioni minerali come il sodio e si trasforma in glutammato monosodico.

È bene precisare che si tratta di un glutammato naturale che rende cibi e ricette particolarmente deliziosi tanto da far venire l’acquolina in bocca e essere richiesti dal nostro organismo.

Se avviene ciò vuol dire che la fermentazione è avvenuta con successo!

Il sapore intenso e pungente non dispiaceva alle culture passate, in caso di necessità sapevano di poter aggiungere miele, aneto, sedano, cannella, finocchio, e altri ingredienti per raggiungere un gusto più amabile.

Ad oggi, abbiamo già un prodotto più delicato ed equilibrato perché la materia prima ha una qualità migliore rispetto al passato e vengono rispettate determinate condizioni igienico-sanitarie.

Quando il cibo migliora di sapore senza risultare troppo salato o speziato ma semplicemente più gustoso vuol dire che è ricco di “umami”. La squisitezza degli alimenti che lo contengono creano una “sana dipendenza”, i recettori del gusto lo ricercano e il nostro organismo apprezza perché ne ha necessità e, di conseguenza, un fisico in salute è più felice.

UMAMI, LA QUINTAESSENZA DEL GUSTO ARRIVA DAL GIAPPONE

La scoperta dell’umami è avvenuta nel 1908 da uno scienziato giapponese, Kikunae Ikeda, che diede il nome a questo quinto gusto, il cui significato è proprio “delizioso” dal giapponese “umai”.

La cucina giapponese, come tutta la cucina orientale ha un’alimentazione basata sull’umami.

E se l’alimento di per sé non lo contiene, ci sono le raffinate salse ad arricchirlo con i micronutrienti necessari.

Gli ingredienti per realizzarle sono vari: pesce, ostriche, gamberi, alghe, soia, riso, funghi, agrumi, cavolo, e, solitamente si ottengono per mezzo della fermentazione. Pesce crudo, tempura, insalate, zuppe, non vengono mai serviti da soli, c’è sempre una salsa di accompagnamento per esaltarne le peculiarità.

DAL SOL LEVANTE ALLA NOSTRA CUCINA

Se fino a qualche anno fa, l’idea della cucina fusion ci lasciava un po’ perplessi, negli ultimi anni questo concetto di unire diverse tradizioni culinarie è molto apprezzato e, gustare ricette di questo tipo non avviene solo nei ristoranti, ma anche nelle nostre cucine.

Con le informazioni che ci arrivano dal passato possiamo affermare che di nuovo non c’è nulla perché i popoli antichi avevano già sperimentato questo tipo di esperienza, infatti era di uso comune creare nuove combinazioni di tradizioni culinarie e includerle nei propri ricettari.

Tra le contaminazioni gastronomiche più in voga nell’ultimo periodo, sushi e salsa di soia sono la combinazione perfetta per un pasto veloce, gustoso e leggero. Questo meticoloso rituale giapponese viene riprodotto ormai in tutto il mondo e la gestualità di mangiare con le bacchette non è più considerata una cosa complicata come all’inizio. Prendere il boccone e intingerlo nella salsa di soia sta diventando sempre più un piacere irrinunciabile. Ancora una volta, il segreto è tutto nell’umami contenuto nella salsa di soia.

SALSA DI SOIA, LA SINFONIA DAL GUSTO ASIATICO

Ottenuta per mezzo della fermentazione, la salsa di soia è una ricetta tipica orientale dove soia, grano tostato, sale, acqua e koji vengono miscelati insieme per diventare un unico liquido aromatico dal colore bruno-rossastro e dal sapore piacevolmente saporito. Ogni stato ha la sua ricetta personale, fatta con tempi di fermentazione diversi. Se la salsa di soia cinese denominata Tamari ha tempi che vanno dalle due alle quattro settimane perché parzialmente fermentata, la salsa di soia giapponese denominata Shoyu ha una fermentazione che va da mesi interi fino ad anni. La sapidità è più spiccata nella salsa cinese perché è maggiore il sale che funge da acceleratore della produzione, mentre nella salsa giapponese sono principalmente le colture di lieviti e funghi a dare un sapore più dolce e morbido. Il filamentoso fungo koji, Aspergillus oryzae, è il responsabile della fermentazione, del gusto umami e della qualità della salsa di soia.

Per quanto riguarda le preparazioni gastronomiche, si usa la sala di soia chiara per i piatti già cucinati e per dare più sapore, mentre la salsa di soia scura dona colore e dolcezza ai piatti in cottura, infatti viene utilizzata un po’ come se fosse un dado da cucina.

Le salse fermentate hanno origini in Cina durante la dinastia Zhou e si presume che la salsa di soia sia nata durante la dinastia Han occidentale. Queste informazioni sono ipotetiche e ricavate dai ritrovamenti, ma quello che è certo è che l’uso ha fondamenti molto antichi.

SALSE FERMENTATE, SIMILITUDINI E DIFFERENZE

Il garum e la salsa di soia, alla vista possono essere confuse perché hanno un colore molto scuro che va dall’ambra, al rosso brillante quasi bruno e anche il profumo, le texture e i sapori possono essere per certi versi simili, nonché la modalità di utilizzo.

Le similitudini sono date dal tipo di lavorazione, ovvero la fermentazione, che trasforma ed enfatizza la materia prima, facendola diventare un vero e proprio toccasana.

Infatti, è l’alimento di base a svolgere una funzione vitale. Bisogna fare molta attenzione a questo perché, la salsa di soia contiene glutine in quanto viene preparata con fagioli di soia e altri cereali, ma, in commercio, si possono trovare anche versioni prive di glutine. È un prodotto indicato in particolar modo per un’alimentazione vegana.

Dopo aver messo in ammollo in acqua e sale, i fagioli di soia e il grano tostato e frantumato, la ricetta prevede l’aggiunta di una muffa, di solito Aspergillus, un composto ottenuto dal koji. La muffa koji è utilizzata come starter di fermentazione. Il processo di proliferazione genera enzimi che scompongono le proteine della soia in amminoacidi e gli amidi di frumento in glucosio.

È un meccanismo simile alla preparazione del garum, ma nel garum gli enzimi sono già presenti nei visceri del pesce, mentre nella salsa di soia, o in altre salse orientali, serve questo fungo che da millenni viene utilizzato come “strumento” di partenza per il raggiungimento di preparazione di cibi fermentati dal sapore sublime.

Hanno più affinità, invece, il garum e la colatura di alici. La colatura si ispira al garum, infatti è ritenuta una suo succedaneo. Il colore è molto simile, ma la tecnica di lavorazione è diversa, inoltre la colatura ha un gusto più intenso e sapido perché viene preparata alternando strati di sale e pesce.

La colatura di alici è frutto di un’intuizione dei monaci cistercensi che abitavano l’antica Canonica di San Pietro a Tuczolo, nell’odierna Costiera Amalfitana. Nella seconda metà del XVIII secolo, fecero una scoperta che portò risultati così soddisfacenti tanto da portare la Colatura di alici di Cetara ad ottenere un riconoscimento Dop. Tutto cominciò, come sempre, da un’esigenza di attuare tecniche di conservazione nel periodo in cui il pesce abbondava. I pescherecci posseduti dai monaci fruttavano molto, così nacque una piccola industria di conserve ittiche. Alle alici venivano asportate, con minuziosa attenzione, sia le teste che le interiora, poi venivano risciacquate con acqua di mare e trasferite in  vecchie botti di legno precedentemente utilizzate per la conservazione del vino. Si alternavano strati su strati di sale e alici, infine, l’ultimo passaggio, consisteva nel pressare il tutto con un grosso masso che aveva la funzione di coperchio e favoriva la maturazione che avveniva nell’arco di diversi mesi. Questa operazione permetteva alle alici di perdere tutto il liquido, il trascorrere del tempo rendeva il sapore e l’odore gradevole. Fu questo gusto invitante a spingere i monaci che si occupavano della salagione, a raccogliere il liquido che filtrava dalle doghe delle botti, si trattava di un profumo diverso da quello che solitamente avevano le alici salate che li incuriosì molto. Il monaco addetto alla cucina preparò un condimento aggiungendo delle spezie e lo servì in accompagnamento con verdure cotte, il piatto risultò ben riuscito e questa scoperta divenne di dominio pubblico in tutta  la zona. I contadini, le massaie e i pescatori si aggregarono al lavoro manuale dei monaci dopo che avevano inviato dei contenitori di colatura anche ad altri monasteri. La richiesta aumentava sempre più e, nei secoli, questa tradizione è ancora oggi molto apprezzata. Una specialità tipica cetarese sono gli spaghetti con la colatura di alici, tutta la genuinità tramandata nel tempo.

Il meccanismo di conservazione è più pratico e contemporaneo, per questo la colatura è più usata e conosciuta rispetto al garum. L’uso maggiore di sale accelera la produzione, che comunque richiede anche lavorazioni che durano un paio d’anni per avere un liquido più limpido. A differenza della colatura, in cui le parti eviscerate sono destinate agli scarti di categoria 3, il garum riutilizza tutte le parti del pesce, tranne le strutture scheletriche dei pesci più grossi.

CONCLUSIONE

Questo viaggio nel tempo mi ha trasmesso un valore affettivo inestimabile. Basti pensare quanto, i nostri avi, provenienti da più zone del mondo, si sono ingegnati, si sono sacrificati, si sono confrontati sempre con un fine comune, la conservazione del cibo, per sfamare non solo se stessi, ma anche il prossimo. La loro semplicità, nel trascrivere pazientemente, tutti i segreti, gli esperimenti e le scoperte, su ricettari, è una ricchezza da cui tutti possiamo attingere. Sapere che tutte queste informazioni, nonostante i vari eventi accaduti nel tempo, sono arrivate fino a noi, non fa che spingerci ad avvicinarci ad un’alimentazione simile a quella antica. Molti documenti sono andati persi, ma quelli ritrovati sono così precisi e dettagliati che superano quasi le odierne etichette alimentari. Infatti, per cuochi e storici dell’epoca, veniva spontaneo indicare la provenienza delle materie prime, la data di inizio di produzione, gli ingredienti, il processo produttivo e tutto quello che ritenevano importante. Elementi che, negli ultimi periodi, molto spesso vengono omessi e non precisati, soprattutto quando si tratta di contraffazione alimentare. Ma questo è un altro discorso.

Per chi vuole seguire uno stile di vita sano, le salse fermentate sono quell’ingrediente che dovrebbe far parte delle nostre preparazioni gastronomiche quotidiane, un valido sostituto dei prodotti raffinati e contenenti conservanti. Tutte queste informazioni sono un valido aiuto per approcciarsi ad esse, non solo con occhi nuovi, ma anche con una mente diversa.